Siamo in Provincia di Massa-Carrara, tra la costa marina e le pendici occidentali delle Alpi Apuane: da qui risaliremo una delle selvagge valli che incidono i fianchi della catena montuosa. Procedendo in direzione nord, una volta attraversata la città di Massa, svolteremo a destra prima di valicare il ponte sul torrente Frigido, per risalire il corso del fiume apuano sulla sinistra orografica della valle, trovandoci a ripercorrere una buona parte dell’antico tracciato della Via Vandelli.
Il paese di Canevara
Il primo paese che incontriamo è Canevara (269 m, già Canovaria), il cui toponimo origina dalla lavorazione della canapa, che qui ebbe sviluppo attorno al XVII secolo. La storia del borgo, votato in origine ad attività agro-pastorali, inizia tuttavia nel più remoto Medioevo. Ancora oggi possiamo notare l’ex magazzino di stoccaggio della canapa: si tratta di un grosso parallelepipedo bianco che sovrasta il paese, soprannominato “casa delle rondini” a causa dei numerosi fori della facciata, ove ogni primavera giungono a nidificare questi splendidi volatili. Si tratta di un sistema invero diffuso in vari edifici dell’abitato, dove possiamo infatti notare molti fori sulle facciate: questi erano comunicanti con l’interno delle abitazioni, di modo da poter prelevare le uova dei volatili ivi nidificanti, sistema che oggi riterremmo vile, ma che fu molto utile durante gli anni della guerra.
Continuando a procedere sulla strada di fondovalle, una volta lasciatoci alle spalle Canevara, incontreremo prima un’ampia cascata del torrente Frigido, quindi sulla sinistra oltrepasseremo la svolta per i paesi di Caglieglia (che fu nel Trecento un’importante Vicinìa) e Casette.
Il borgo di Forno
Presto ci troveremo ad un bivio, dove il Canale di Renara si unisce al Frigido; qui, continuando la risalita di quest’ultimo, imboccheremo la strada che sale a sinistra, fino a giungere al paese di Forno (212 m).
Si tratta di un grosso borgo vallivo di forma allungata, con abitazioni a sviluppo perlopiù verticale addossate alla roccia, in modo tale da poter sfruttare gli spazi angusti della valle non in larghezza ma piuttosto in altezza. La sua storia è legata principalmente alla lavorazione del ferro, attività svolta dal XIII al XVI secolo, fin quando non si esaurirono le riserve di legname che alimentavano i forni (dai quali deriva il toponimo del borgo): «Esso fu un tempo abitato dai lavoranti del ferro, che costà lungo il Frigido esisterono finchè abbondarono le selve di castagni, in mezzo ai quali risiede il paese.» (Repetti, Diz. geogr. fis. stor. della Toscana). Attività tipica del luogo, oltre alla pastorizia e all’estrazione del marmo, fu più tardi anche la fabbricazione di cappelli di feltro.
Le origini dell’insediamento sono ad ogni modo ben più antiche: in principio il suo nome era Rocca Frigida (dall’idronimo del torrente che solca la valle), là dove effettivamente sorgeva un fortilizio sovrastante l’attuale abitato, oggi diruto, di cui ci resta testimonianza ma della cui ubicazione non abbiamo più tracce.
Forno, come ogni borgo delle Alpi Apuane, attraverso le quali passava la Linea Gotica, fu suo malgrado protagonista dell’odiosa ritorsione nazi-fascista, contando un eccidio di 75 abitanti.
La Filanda di Forno
Alla fine del secolo XIX, Forno fu protagonista di una vicenda industriale del tutto singolare per la storia delle Alpi Apuane, ovvero l’impianto di un cotonificio (la Filanda di Forno). Voluto dal conte Ernesto Lombardo, e nato per volontà dell’imprenditore Prospero Schiaffino, esso fu causa di un notevole incremento demografico del paese, che raggiunse così la notevole quota di 2200 unità ad inizio ‘900; con 800 operai impiegati nella Filanda nel 1893, e 500 operaie ancora negli anni ‘20: «…il maggior numero delle donne è addetto alla telaja di pannilini e mezze lane, mentre i maschi si occupano specialmente a fabbricar cappelli di feltro…» (Repetti). L’opifico, che sorge nelle vicinanze del Pizzacuto (o appunto Pizzo del Cotonificio, affilata guglia rocciosa dalla forma peculiare), utilizzava l’energia elettrica prodotta dalla grande sorgente che alimenta il torrente Frigido: «Scaturiscono poco lungi dal Forno le copiose e limpide sorgenti del Frigido, donde prese il nome la diruta rocca sovrastante il villaggio.» (Repetti).
Oggi parte del cotonificio, opportunamente restaurato, rappresenta un importante documento di archeologia industriale, ed accoglie, assieme al Museo della Filanda, uno dei Centri visite del Parco delle Alpi Apuane.
Case del Vergheto
Superata la Filanda di Forno si svolta dunque a sinistra, dove cominceremo a salire: inizialmente in grandioso panorama alpestre, vegliati dalla tormentata mole del Picco di Navola (1272 m); poi affrontando una numerosa serie di tornanti, immersi in antiche selve di castagno. Pervenuti al termine della lingua d’asfalto (che prima degli anni ‘90 giungeva poco oltre il cotonificio), e dopo esserci incamminati per un breve tratto di sterrato, ci troveremo sul sentiero CAI 38 che sale dal paese di Colonnata (proprio quello del famoso lardo), sempre in mezzo a magiche selve di castagni secolari. Giunti ad una diramazione, continueremo a tenere sulla dx il sentiero nr. 38 (a sx si stacca il 195 che scende a Colonnata per altro percorso, ancora caratterizzato da splendide foreste di castagno).
Raggiungiamo finalmente la località detta Case del Vergheto (siamo attorno ai 900 m s.l.m.), dove inizieremo ad incontrare le tipiche abitazioni in pietra locale, vestigia di un antico alpeggio (similmente ai ‘caselli’ di Campocatino), accolti da una di quelle umili cappelline votive che qui prendono il nome di “marginette”. Di queste casupole, che si sono viste definitivamente abbandonare dagli ultimi abitanti negli anni ‘70, alcune giacciono tutt’ora abbandonate e purtroppo fatiscenti, altre sono state recuperate e divenute mèta di soggiorno estivo. Tra queste spicca un più grande edificio che funzionò, per non molto tempo, come Rifugio del CAI.
Sugli alpeggi possiamo ancora incontrare greggi di pecore al pascolo, che la notte trovano ricovero in alcune di queste costruzioni tra quelle situate più in altura.
Giunti sul pianoro di Case del Vergheto ci si aprirà un panorama mozzafiato, potendo godere di una visuale che spazia su buona parte dello spartiacque apuano centrale e centro-settentrionale: dal Monte Sagro (1753 m) al M. Altissimo (1589 m), lungo tutto il crinale ove splendono le accecanti vette del Grondilice (1808 m; pron. Grondìlice), del M. Contrario (1788 m), Cavallo (1895 m), e del M. Tambura (1890 m), giù giù per le rugose e arcigne creste di roccia che si diramano come un delta eternamente pietrificato, fino a spingere lo sguardo sulla marina versiliese, in vista del verdeggiante M. Brugiana (974 m).
Per chi volesse proseguire, nell’infinito reticolo di sentieri apuani, da qui si diramano altre vie escursionistiche. Tra le più classiche quella che attraversa il Monte Sagro (sent. CAI 172 e diram.) per giungere ai sublimi prati di Campo Cècina. Proseguendo invece sul sentiero nr. 38 si può raggiungere il borgo di Vinca, valicando l’omonima Foce di Vinca (1332 m) dove incroceremo la mitica Alta via delle Alpi Apuane.
«È per anco indecisa la lite che insorse nel principio del secolo XVI tra gli uomini del Forno e quelli di Vinca per cagione dell’Alpe Rutaja, situata a confine e pretesa da ciascuno dei due popoli preaccennati; soggetto che servì di argomento a una lettera del 7 marzo 1512 (stile com.) diretta a nome della Rep.[ubblica] fior.[entina] al suo commissario a Fivizzano da Niccolò Machiavelli negli ultimi mesi del suo segretariato sotto Pier Soderini.» (Repetti).
“Caselli” sul CAI 38 per C. del Vergheto Veduta da C. del Vergheto M. spallone da C. del Vergheto M. Sagro dal CAI 38 M. Sagro sullo sfondo di C. del Vergheto M. Contrario e Cavallo da C. del Vergheto
Il torrente Frigido
Il Frigido, come ogni altro fiume apuano, per effetto dell’erta pendenza percorsa in soli 17 km, è un corso d’acqua segnatamente impetuoso. La splendida valle che esso solca, e che da tempo immemore plasma, è particolarmente selvaggia, corollata com’è da valloni impervi e inaccessibili, e cinta da un notevole arco di cime, quasi tutte le più importanti del tratto centro-settentrionale delle Alpi Apuane: il Monte Sagro, il Grondilice, il Contrario, il Cavallo, la Tambura, il M. Sella (1736 m) e l’Alto di Sella (1725 m), fino al M. Macina (1568 m) e al M. Altissimo. Esso nasce ufficialmente dalle sue sorgenti poste nei limitrofi della Filanda di Forno, poco a valle della quale viene subito alimentato dal Canale di Regollo che incrocia il Canale Secco. Qualche chilometro dopo Forno esso riceverà le acque del torrente di Renara unitosi poco a monte, presso Gronda, al Canale di Resceto. Ricevute in fine le acque del fosso di Antona appena sopra Canevara, il fiume apuano si dirigerà con le sue acque cristalline verso Massa, per lasciarsi morire nel “Mare Tosco”.
Varianti all’itinerario principale
Immancabili deviazioni al percorso principale, seguendo le valli strettamente adiacenti quella del Frigido, dovrebbero essere le seguenti.
Sulla strada di fondovalle, nel punto in cui il torrente Frigido accoglie le acque del Canale di Renara, anziché andare a sinistra in direzione di Forno, prenderemo la diramazione a destra e, passato un ponticello, risaliremo il corso di quest’ultimo torrente sulla destra orografica della valle. Incontreremo prima il paese di Guadine (pron. Guadìne), poi una svolta sulla sinistra per Casania. Poco dopo troveremo una nuova svolta, in questo caso sulla destra che, attraversato il Canale di Renara si dirigerà sempre a man dritta verso il minuto borgo di Redicesi, mentre a mancina proseguirà per la località di Renara. Seguendo ancora il torrente sulla sinistra idrografica, in breve la strada diverrà sterrata e davanti a noi si aprirà imponente un versante apuano particolarmente aspro, al cospetto della piramide del Monte Macina.
Continuando invece la strada principale in direzione del paese di Resceto, risalendo la valle solcata dall’omonimo torrente, incontreremo, appena oltrepassato il bivio per Renara appena descritto, il piccolo paese di Gronda; affronteremo poco oltre il “manico del paiolo”, caratteristico e stretto tornante che aggira uno sperone roccioso, e oltrepasseremo Serretta, per giungere in fine al paese di Resceto. Qui la strada asfaltata termina, e inizia uno sterrato che porta in direzione della mitica Via Vandelli, risalendo l’orrida parete est del Monte Tambura per il sentiero CAI 165.
Il paese di Resceto (485 m), collocato in posizione splendidamente isolata, ha mantenuto i ritmi di vita di una volta, e il particolare dialetto porta caratteri linguistici assai arcaici (si tratta di un’isola linguistica). Il sito dove poi nacque il borgo apuano fu abitato fin dalla preistoria, come testimoniato dal rinvenimento di resti appartenenti al neolitico. Successivamente il paese acquisì particolare sviluppo grazie al passaggio della Via Vandelli.
Approfondimenti
Formazione e composizione delle Alpi Apuane
L’estrazione del marmo apuano, come abbiamo visto una delle principali attività di Forno (nonché di Resceto), risale fino all’epoca romana. Oggi tuttavia l’avidità dell’uomo e l’ideazione di tecnologie devastanti, in grado di mangiare grandi porzioni di montagna in breve tempo, stanno velocemente deturpando e mettendo in serio pericolo alcune non limitate aree dell’irripetibile paesaggio apuano.
Il prezioso e candido marmo apuano è una roccia originata dal metamorfismo di antichi sedimenti marini, formata quasi esclusivamente da carbonato di calcio.
I primordi delle complesse e sterminate vicissitudini geologiche della catena Apuana risalgono alle prime fasi dell’Era Mesozoica (circa 220 milioni di anni fa) attraversandola fin verso il suo termine (100 milioni di anni fa circa). In questo lungo periodo, sopra i resti di un’antichissima catena montuosa pressoché del tutto smantellata da fenomeni erosivi (il basamento ercinico), e al di sotto di acque marine il cui livello si innalzava e abbassava periodicamente scaldandosi e raffreddandosi, si susseguirono svariate e complesse vicende di sedimentazione interessanti innumerevoli formazioni geologiche (materiale carbonatico, marmi, calcari selciferi, diaspri, scisti sericitici, pseudomacigno, flysch).
Giunti poco oltre i 20 milioni di anni fa, ebbero invece inizio i movimenti della crosta terrestre che fecero finalmente emergere la catena montuosa, con il sovrascorrimento della Falda Toscana; questo determinò un intenso fenomeno metamorfico, e dunque una radicale trasformazione della struttura originaria delle rocce. Ormai metamorfosata, la catena iniziò la sua risalita verticale e l’emersione definitiva da sotto la Falda Toscana.
Per tanto, alle lunghissime stagioni sedimentarie prima e metamorfiche dopo, gli sconvolgimenti geologici e le attività vulcaniche, una volta che le Apuane si trovarono esposte all’erosione degli agenti atmosferici (la pioggia, i venti, il ghiaccio), questi terminarono il lungo lavoro di cesello che in milioni di anni ha modellato queste magnifiche montagne.
I segni lasciati poi dalle Ere Glaciali sulle Alpi Apuane è particolarmente evidente, soprattutto quelli dell’ultima glaciazione avvenuta tra i 70.000 e i 15.000 anni fa (quella di Würm). Durante quest’epoca i più vasti ghiacciai si formarono sul versante orientale della catena apuana; il maggiore di essi, con uno sviluppo di circa 12 kmq per una lunghezza che superava i 6 km, riguardava il vasto anfiteatro contenuto tra il Pizzo d’Uccello (1783 m, con l’immensa conca glaciale che ha modellato la celeberrima parete nord della montagna, strapiombante per 900 m), il Monte Contrario e il M. Pisanino (1946 m, la più alta vetta apuana), scendendo giù per l’Orto di Donna (la Val Serenaia) fino a raggiungere l’attuale Gramolazzo. Ma vari altri sono i circhi, le conche glaciali, i depositi morenici, ravvisabili un po’ ovunque sulle Apuane: alcuni tra i più belli e significativi si trovano sul versante meridionale del M. Sumbra (1770 m), altri ne abbiamo già visti per esempio a Campocatino. I ghiacci, con i loro movimenti, oltre a creare questi mastodontici anfiteatri naturali, modellarono interi paesaggi rocciosi come i versanti di ponente del Monte Corchia (1678 m), la cresta del M. Sella e della Tambura, quella del M. Sagro, aree naturalisticamente irripetibili che purtroppo l’attività estrattiva sta seriamente compromettendo.
Salta subito all’occhio la netta differenza che corre tra la morfologia delle Alpi Apuane e quella del vicino Appennino: arcigna e severa la prima, relativamente più dolce la seconda, nonostante una vicenda geologica non troppo dissimile. Il perché è presto rivelato. Le Alpi Apuane sono montagne prevalentemente formate da rocce calcaree e marnose, di formazione più antica ma di emersione più recente; gli Appennini sono invece composti da una matrice prevalentemente arenacea e, nonostante siano di formazione più recente, sono emersi più anticamente. Gli agenti atmosferici hanno dunque aggredito in modi e tempi diversi un materiale più resistente come il calcare (il fenomeno del carsismo ne è un esempio tipico), a differenza di un materiale più “lavorabile” come l’arenaria appenninica. Ovviamente non mancano notevoli eccezioni, poiché ampie porzioni dell’Appennino sono pure caratterizzate da formazioni calcaree (e fenomeni di carsismo correlati): ne siano esempio la dorsale appenninica della Lunigiana, piuttosto che ampi tratti dell’Appennino lucchese e pistoiese (per restare nell’ambito dell’area trattata).